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Si tratta di onorare, come Famiglia Religiosa Rosminiana in tutte le sue componenti, all’alba di un nuovo millennio, l’invito e il mandato diretto del Santo Padre all’Istituto della Carità: «Mentre la Chiesa si prepara ad entrare nel terzo millennio cristiano, l’evangelizzazione della cultura è una parte cruciale di ciò che ho definito la nuova evangelizzazione, ed è a questo proposito che la Chiesa guarda con ansia ai figli di Antonio Rosmini. [...] I cristiani sono a volte tentati di ignorare la kenosis della Croce di Gesù Cristo, preferendo piuttosto intraprendere il cammino dell’orgoglio, del potere e del dominio. In tale contesto, l’istituto della Carità ha la missione specifica di indicare il cammino della libertà, della saggezza e della verità, che è sempre quello della carità e della Croce. Questa è la vostra vocazione religiosa e culturale, così come lo è stata del vostro lungimirante Fondatore …»[1].
L’appello e le indicazioni concrete,consegnate dal Santo Padre alla Vostra Famiglia Religiosa, diventano non solo il motivo ispiratore di questa Assemblea, ma anche lo stimolo ad interrogarvi e a cercare nuove vie per evangelizzare la cultura, seguendo le orme del vostro Fondatore, ritenendo urgente far rivivere l’impegno di dialogo culturale con il mondo, centro della sua opera e della sua ricerca. Rosmini, infatti, scriveva: «L’uomo è andato lontano e bisogna andare lontano a riprenderlo». E ancora: «La scuola teologica è partita da Dio per arrivare all’uomo, noi facemmo l’opposto: partimmo dall’uomo per arrivare a Dio».
1. Cultura e culture
Il primo fenomeno impressionante,nella cultura moderna o postmoderna, è un’indifferenza crescente nei confronti della religione, una mancanza di sensibilità spirituale, un misconoscimento diffuso dei valori anche umani, tanto che i fedeli si possono sentire quasi esclusi o emarginati dalla società. L’indifferenza religiosa e la non credenza sembrano pervadere tutto ed essere diventate esse stesse una cultura, bisognosa di venire trasformata dal Vangelo. Il fatto relativamente nuovo è che molti, fra quelli che si dicono credenti,cedono ad una forma di vita nella quale Dio, o la religione, sembrano non avere particolare importanza.
Sperimentiamo, per esempio, la dissipazione dei contenuti della fede, la mancanza di impegno personale coerente con la fede professata, la noncuranza nel dichiarare esplicitamente la propria appartenenza religiosa, la testimonianza tiepida, l’abbandono della pratica religiosa. Non si tratta, quindi, soltanto di scarsa vivacità nella fede, ma di qualcosa che tocca in profondità le radici del proprio credo. In questo contesto si va diffondendo la cosiddetta religiosità post-moderna, da non qualificare come un ritorno alla religione in senso classico, soggettivistica, non coinvolta nella cultura, quasi una riserva esclusiva dell’anima, un’oasi intimistica nella quale rifugiarsi e autocontemplarsi in un’evanescente ricerca estetica, in cui il singolo non deve rendere conto a nessuno del suo comportamento .Inoltre, essa non manifesta alcun interesse per la ricerca della verità: più che credere, si pensa di credere, riservandosi sempre e comunque un’“uscita di sicurezza”.
La disamina, seppur breve, ci consente di cogliere la cultura entro la quale viviamo e siamo chiamati ad annunciare il Vangelo, come vita quotidiana dell’uomo, e di partecipare le sfide provenienti dalle culture non esclusivamente come un ostacolo, anzi, come opportunità per verificare la nostra vita, per discernere metodi e iniziative pastorali più adatte per annunciare la Buona Novella dell’Amore di Cristo nel cuore delle culture.
L’esperienza di cultura come campo privilegiato d’incontro, in cui non ci sono contese, e una spinta costante del Papa, hanno generato l’esigenza di creare degli spazi, nei quali sia possibile realizzare occasioni di scambi culturali tra persone e soprattutto imparare a dialogare[2]. In risposta all’invito intenso del Papa si è sviluppato nella Chiesa un forte impegno di promozione e di coordinamento dei Centri Culturali Cattolici «con la costante preoccupazione del rapporto tra la fede e la cultura, della promozione della cultura ispirata ai valori cristiani, attraverso il dialogo, la ricerca scientifica, la formazione, la promozione di una cultura fecondata, ispirata, vivificata e resa dinamica dalla fede. Perciò, i Centri Culturali Cattolici sono strumenti privilegiati per … suscitare un’adesione personale ed entusiastica ai valori fecondati dalla fede in Cristo»[3].
L’itinerario di avvicinamento, di conoscenza reciproca e di condivisione esige un movimento di convergenza, da tutti gli angoli della terra, verso il traguardo della Verità sull’uomo e sul mondo, come avete ben esplicitato nel lavoro condiviso durante l’ultimo anno, in vista di questo appuntamento: «Il cammino di altri popoli e di altre culture verso la Verità sarebbe di gran lunga più facile se fossimo capaci di “suscitare” il Dio che è già in loro».
2. Segni dei tempi
Da qui scaturisce la necessità di promuovere un’azione pastorale attenta all’uomo, per portare le risposte di Gesù Cristo alle domande cruciali delle culture contemporanee. Sono domande che abitano il cuore di ogni persona umana e riecheggiano da un’estremità all’altra della terra. Esse riguardano il senso della vita, soprattutto quando è vissuta nelle tensioni, nei conflitti e nelle sofferenze personali, sociali, religiose, spirituali, culturali, razziali, politiche ed economiche.
Inoltre lacerano e interrogano il cuore dell’umanità il dolore innocente e la sofferenza senza una ragione, che fanno scendere le tenebre dell’assurdo sull’esistenza dei più deboli. Si tratta di interrogativi che toccano l’anelito universale alla pace, originando iniziative in ogni angolo della terra, in favore di popoli dilaniati dalle guerre e dalla violenza. Riguardano anche il forte desiderio, soprattutto da parte dei giovani, di uscire dall’indifferenza e dall’apatia, che rischiano di omologare la mente e il cuore, i desideri e le iniziative, i progetti e le speranze, indirizzando a senso unico i modi per realizzare la propria vita. Queste domande incarnano la ricerca di un modo di vivere più giusto ,di un’economia per l’uomo e non contro di esso, di relazioni umane rispettose dell’altro, anche se diverso, soprattutto negli ambienti di lavoro e nei contesti sociali e culturali.
Sono tutti interrogativi che ci coinvolgono nella ricerca di proposte che possano rispondere alla ricerca religiosa, alla sete di Infinito, al desiderio di Dio che è presente anche oggi nell’uomo, nonostante l’apparente assenza. Sono, infine, interrogativi che ci sfidano proprio sul piano delle proposte. Chiediamoci: sono progetti che aiutano a “prendere il largo”, oppure si accontentano del piccolo cabotaggio? si aprono ad un impegno di ampio respiro o si limitano a conservare quel poco che rimane, senza correre rischi? sono contrassegnati dal coraggio di osare cammini nuovi, oppure sono ostinatamente ancorati a sicurezze umane, senza un po’ di fiducia e di speranza in Colui che ci invia in missione?
Sull’onda di questi interrogativi vorrei partecipare alcune proposte concrete per la missione: “Chiamati ad evangelizzare la cultura”.
I. Innanzitutto la disponibilità all’incontro e allo scambio culturale, nella carità e nel rispetto, con tutti coloro che cercano la verità con cuore sincero, sia a livello personale sia in ambito pubblico. Soprattutto il secondo aspetto può diventare un momento favorevole di confronto e di testimonianza sulle grandi questioni esistenziali: la responsabilità verso la vita umana e la sua dimensione etica, il senso della morte nelle culture e nelle società, l’educazione e la formazione dei giovani, l’esperienza religiosa nelle sue diverse espressioni, la solidarietà, i fondamenti della convivenza nelle società multiculturali, il pluralismo culturale e religioso.
II. L’ambito dell’educazione e delle istituzioni educative. Innanzitutto si tratta di dare maggiore importanza all’iniziazione cristiana, in maniera tale che non sia l’iter per “andarsene dalla Chiesa”, ma diventi una vera esperienza di vita in Cristo. Scelta irrinunciabile si rivela, oggi, il catecumenato degli adulti, non soltanto per colmare un vuoto cognitivo, ma soprattutto per reintrodurre le persone all’esperienza di fede, aiutandole a riscoprire la gioia e l’importanza di leggere e studiare la Bibbia, insieme con i contenuti della fede, per trasmetterli alle generazioni future. Spesso, l’abbandono della fede, le forme di superstizione, le tendenze verso pratiche di magia sono i risultati di una mancanza di formazione e d’ignoranza dei contenuti essenziali della fede.
Oltre alla catechesi, disponete di una rete considerevole di altri centri di insegnamento e di educazione. Quotidianamente, nelle vostre scuole, un numero consistente di bambini, di giovani e di famiglie viene a contatto con voi, offrendovi un’enorme opportunità educativa e formativa. Il contatto con i giovani è un campo fertile, e la scuola si rivela un terreno favorevole per una feconda pastorale della cultura, per rispondere alla missione di evangelizzare l’intelligenza e per favorire una nuova sintesi tra fede e cultura. Ci sono anche altre iniziative concrete legate a questo ambito: l’istituzione di Centri di Servizi culturali - biblioteche parrocchiali, videoteche e librerie - in cui sia possibile mettere a disposizione la stampa e le pubblicazioni di ispirazione cristiana. La creazione di piccoli gruppi di studio può diventare un altro valido aiuto, affinché la ricerca torni a vantaggio della missione pastorale della parrocchia, della Commissione Diocesana per la Cultura, della propria Famiglia Religiosa, e di quanti ne vorranno usufruire nei diversi contesti socio-culturali.
III. La famiglia. Essa è il luogo privilegiato per far crescere lo stile della comunione,il senso di responsabilità e per trasmettere la fede. La famiglia educa e trasmette la fede, diventando spazio vitale per impostare i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti d’interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita[4]. Le vostre famiglie, come prime scuole del Vangelo, sono il luogo più favorevole per trasmettere, orientare, far desiderare e accompagnare l’esperienza di vita cristiana. La famiglia è il luogo in cui le espressioni della fede entrano a far parte della vita quotidiana: il segno della croce, le feste religiose vissute insieme, la preghiera prima e dopo i pasti, i gesti di carità e di solidarietà, di perdono e di accoglienza, sperimentati all’interno della famiglia e anche al di fuori di essa. Spetta ai genitori essere i primi evangelizzatori dei figli, come pure coltivarne gli alti ideali e la crescita spirituale, guidandoli verso la piena maturità umana e cristiana, affinché essi possano accogliere, insieme con il patrimonio culturale, l’eredità ancora più preziosa della fede.
3. Evangelizzazione, inculturazione e comunione
Si tratta di sfide e di proposte che ci spingono a realizzare la nostra missione offrendo «un insieme di convinzioni e di proposte concrete ... per una rinnovata pastorale della cultura come luogo di incontro privilegiato col messaggio di Cristo»[5]. Può venirci in aiuto, per interpretare e per vivere meglio questi aspetti,qualche tratto della vicenda umana, culturale e cristiana di Antonio Rosmini, vostro lungimirante Fondatore, secondo l’espressione usata da Giovanni Paolo II.
Egli si presentò sulla scena storica e culturale del suo tempo con delle idee, una spiritualità, un’appassionata ricerca filosofica e un profilo politico che si esprimevano continuamente come un composto indissolubile di ragione e di fede. Rosmini è stato l’uomo della ricerca della Verità e dell’esercizio della carità, tanto da poter affermare che nella pratica della carità intellettuale e della carità morale non ebbe misura, come non mancava di sentire fortemente anche la “carità corporale”. Infatti, dopo aver letto sui giornali le descrizioni della carestia in Irlanda, scrisse al Provinciale in Inghilterra, quasi lanciando un grido: Charitas urget nos!, continuando poi a stimolare il suo confratello affinché comprendesse la volontà di Dio che chiama, grida, implora nel pianto di una nazione. E concludeva: ciò che è possibile bisogna farlo, ciò che è impossibile tentarlo.
Egli misura, per così dire, le quattro dimensioni della carità in cui vive: la larghezza che abbraccia tutte le cose, la lunghezza che si estende nell’eternità, l’altezza che sale all’Essere infinito, la profondità che si umilia senza limite perché colui che veramente ama, si umilia senza limite davanti all’amato[6]. La Chiesa e la cultura cattolica guardano con simpatia, con attenzione e con venerazione alla figura di Antonio Rosmini, ne riscoprono la forza del pensiero, la vivacità intellettuale, la generosità dello studioso affamato e assetato di verità, la moralità del ricercatore, sullo stile delle beatitudini, la purezza, la coerenza, in uno sgorgare del pensiero cristiano penetrato da intelligenza vivida, singolare, attenta alla realtà storica e aperta alla speranza di un futuro. Una grande avventura umana e cristiana, intellettuale e morale capace di farci riflettere sull’esemplarità di coraggio e sulla dolorosa necessità cui porta spesso la coerenza dell’idea e la fedeltà ad un progetto di cultura e di rinnovamento spirituale.
Dotato di una straordinaria capacità di coniugare il rigore dello studioso con la grande fecondità creativa, nutrite da una esperienza intima e profonda con Dio, non esitava a vivere, nella propria comunità reale e ideale insieme, la Chiesa, amandola nelle difficoltà, difendendola nelle avversità, manifestando una generosa carità intellettuale capace di segnare la sua vita e la storia culturale e filosofica italiana. L’incontro con l’Infinito – -frequente affiorava alle sue labbra l’invocazione: «Infinito, dammi l’infinito» – rinnovato quotidianamente nell’umiltà della carità e nella forza dell’amore, lo conduce a “pensare in grande”, ci esorta a “pensare in grande”: «… e quando penseremo in grande – scrive al chierico Giuseppe Aimo nel gennaio 1845 – com’è grande Iddio, cesseranno le nostre ripugnanze, e ameremo tutto il bene, e carissimi ci riusciranno tutti i mezzi di far bene, tutti quei mezzi di cui Iddio ci comanda di provvedere …».
Studiava con particolare attenzione alcune dottrine del suo tempo, ostinate nel sostenere che la conoscenza umana proceda interamente dalle sensazioni, essendo i sensi che trasmettono all’intelligenza il suo primo lume e generano le prime idee. La fonte di maggiore preoccupazione per Rosmini era la convinzione diffusa che tutto ciò fosse molto innocente. In realtà, si era di fronte alla radice occulta di un raziocinio il quale, riponendo nella sola sensazione tutta la realtà e innalzando il senso corporeo alla dignità di solo maestro sicuro del vero, conduce direttamente alla negazione dell’Essere assoluto, e quindi ad una morale utilitaristica dalla quale è bandito il concetto di giustizia ed è privata del carattere di legge perché pretende di obbligare l’uomo in nome dell’uomo stesso.
Affrontare oggi la sfida e la missione di evangelizzare la cultura, con coraggio e con entusiasmo, richiede lucidità di analisi e creatività pastorale, chiarezza di pensiero e iniziative efficaci per le persone alle quali ci rivolgiamo, e «per far questo è necessario annunciare il Vangelo nel linguaggio e nella cultura degli uomini»[7]. Per questo l’esempio di Rosmini si rivela illuminante ed efficace, soprattutto nel testimoniarci la sua appassionata ricerca di coltivare ed approfondire le relazioni possibili tra l’uomo e la Verità. Relazioni di conoscenza e insieme di amore, determinate nella forma e nella misura da un supremo principio per il quale l’uomo rende all’Essere infinito ciò che gli deve, e nella luce dell’Essere infinito comprende gli esseri finiti, rendendo pure ad essi ciò che a ciascuno è dovuto secondo la sua natura.
4. Carisma ed evangelizzazione della cultura
Tutta l’opera intellettuale, morale, culturale e caritativa del vostro Fondatore, la sua fede e la sua azione nel contesto storico e sociale del suo tempo, risplendono di ragione. Egli ha concesso largo spazio alla ragione umana, senza mai contrapporla alla fede[8].
Fu uomo capace di parlare della Chiesa al clero italiano - con l’opera Delle cinque piaghe della Santa Chiesa (1848) - e dell’Italia agli italiani - con l’opera La Costituzione secondo la giustizia sociale (1848). Indagò la natura divina, “profunda Dei”, con la potenza che si può vedere nella sua Teosofia e,contemporaneamente, indagò il mistero dell’uomo, “profunda hominis”, con l’acume che si può verificare nel Trattato sulla coscienza. Rosmini non si limitava ad una registrazione passiva degli avvenimenti culturali, non si accontentava della loro semplice catalogazione. Spinto dalla responsabilità dell’uomo di cultura autentico, per il quale la cultura è un servizio ed un bene, egli non consentiva che questo bene, chiunque fosse colui che lo deteneva, venisse sotterrato e divenisse infruttuoso. Al contrario egli s’impegnava nello studio storico e concettuale di ciò che gli avvenimenti culturali generavano, e argomentava con lucidità tirando conseguenze operative dagli avvenimenti, lasciando sempre, però, un ampio respiro alle pur realistiche analisi e alle sue coraggiose prospettive. Egli sosteneva la necessità di mettere in opera la verità, corrispondendo sempre e dovunque con l’azione alla verità, come uomini di scienza e come uomini d’azione, come pensatori e come artisti, in modo da moltiplicare l’efficacia della dottrina con la probità della vita.
Voi, chiamati a vivere nell’attuale contesto culturale questo carisma, non potete fare a meno di coltivare queste caratteristiche: la capacità di leggere la storia, il coraggio di difendere il bene dell’uomo e la Verità, l’ardore missionario verso tutti.
Per evangelizzare le culture bisogna anzitutto prendere coscienza che la cultura è una realtà umana da evangelizzare. L’evangelizzazione deve quindi essere compresa in tutta la sua accezione individuale e sociale. Se è vero che sono solo le persone a poter compiere l’atto di fede, convertirsi, ricevere il battesimo, adorare e contemplare Dio, è anche vero che l’azione evangelizzatrice deve raggiungere il cuore stesso delle culture attraverso le persone.
Noi prendiamo coscienza oggi che la cultura è divenuta propriamente un campo d’evangelizzazione, perché vasti settori culturali non hanno mai accolto o respingono la luce del Vangelo. Cioè, in nome della nostra fede e nel rispetto delle libertà, riscopriamo l’urgenza di annunciare la Buona Novella al mondo attuale. Evangelizzare è discernere i valori culturali suscettibili di essere arricchiti, purificati e perfezionati dalla forza del Vangelo. Evangelizzare è raggiungere l’anima stessa delle culture vive e rispondere alle loro attese più alte facendole crescere alla dimensione stessa della fede, della speranza e della carità cristiane.
Questo lungo e coraggioso processo d’inculturazione ha la vocazione di trasformare i modelli di comportamento tipico di un ambiente, i criteri di giudizio, i valori dominanti, le abitudini e i costumi che caratterizzano la vita di lavoro, gli svaghi, la pratica della vita familiare, sociale, economica, politica. Viene spontaneo allora affermare che tutti questi elementi che costituiscono l’ethos di una cultura sono altrettanti terreni d’inculturazione del Vangelo. La fede ha la vocazione di esercitare un impatto reale su tutti i settori della vita comune. Pertanto, pur rispettando la legittima autonomia delle realtà terrene, noi tutti, con la nostra attiva testimonianza, incarniamo il Vangelo fino a trasformare realmente i comportamenti individuali e sociali. Così noi evangelizziamo l’ethos stesso della nostra comunità umana. Evangelizzare vuoi dire anche criticare e perfino denunciare ciò che, in una cultura, contraddice il Vangelo e lede la dignità dell’essere umano, individuale e collettivo.
Noi tutti misuriamo con evangelica preoccupazione la distanza che si è stabilita tra il Vangelo e le culture moderne, e quanto rischino di chiudersi in se stesse in una sorta d’involuzione spirituale. Ma non basta denunciare, occorre cogliere le attese spirituali delle mentalità attuali, le pietre di aggancio e i punti di ancoraggio per il messaggio evangelico[9]. Nel mondo attuale, caratterizzato dal pluralismo e dal diffuso agnosticismo che esso porta con sé, l’annuncio del Vangelo potrà, per una sorta di paradosso,apparire in tutta la sua novità. Testimoniare la salvezza di tutti gli uomini in Gesù Cristo può, oggi come ieri, raggiungere le speranze segrete, spesso latenti, ma non meno operanti, nel cuore di molti nostri contemporanei.
Così la Chiesa ha la vocazione di divenire creatrice di cultura nel suo rapporto con il mondo. Grazie agli impegni dei cristiani, la fede diventa cultura vissuta, una simbiosi si stabilisce tra i valori della cultura e quelli della fede. L’evangelizzazione opera come un fermento all’interno stesso di tutte le culture che si aprono al messaggio cristiano e nelle quali s’incarna storicamente in tratti culturali determinati. Oggi come ieri la forza del Vangelo è sempre capace di trasformare le istituzioni culturali fondamentali della vita sociale, segnatamente la famiglia, la scuola, il diritto, il lavoro.
Tuttavia sarebbe sbagliato pensare che la Chiesa cerca di cristianizzare le società per una sorta di dominio culturale. La Chiesa realizza la sua missione attraverso la testimonianza della vita cristiana, la preghiera, la contemplazione, la liturgia, la predicazione e la catechesi. Quando dei cristiani si associano ad altri credenti o comunque a persone di buona volontà per servire l’umanità dell’uomo, in verità esercitano un’azione evangelizzatrice, nella misura in cui i valori del Vangelo concernenti l’uomo e la sua dignità sono promossi e difesi. Si tratta di un aspetto dell’azione culturale dei cristiani che riveste un’importanza crescente nel nostro mondo divenuto pluralista[10].
Incarnare il Vangelo nelle varie culture è un’esigenza del Vangelo stesso, è un riflesso dell’Incarnazione del Verbo che, in qualche modo, continua nel tempo e nella storia. Il Vangelo arriva a fecondare, come dall’interno, le qualità spirituali e i doni propri di ogni popolo. Esso purifica, eleva e perfeziona le culture. Ma se il Vangelo arricchisce le culture nelle quali s’incarna, a loro volta le culture rigenerate arricchiscono la Chiesa, offrendole forme nuove e originali di espressione della vita cristiana. Evitando il rischio di ridurre il Vangelo a una cultura, noi siamo chiamati a riscoprire l’assoluto del Vangelo e a proclamare che, in Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, morto e risuscitato, la salvezza è offerta ad ogni uomo come dono di grazia e di misericordia di Dio. Senza questo annuncio profetico non c’è vera inculturazione del Vangelo.
Evangelizzare le culture è incarnare nelle culture particolari il messaggio evangelico particolare. Il Vangelo, infatti, è per ogni cultura, ed ogni cultura è per il Vangelo. Il rapporto Vangelo-cultura non è quindi passivo, ma profondamente attivo, tra due soggetti in interazione reciproca. Davanti alla tentazione post-moderna di culturalizzazione del cristianesimo, cioè di ridurre il cristianesimo ad essere una cultura, evangelizzare le culture è incarnare nelle culture particolari il messaggio evangelico universale. Se la cultura procura al Vangelo il suo linguaggio, è il Verbo che le da la sua pienezza di esistenza come la sua definitiva ermeneutica, il senso dei sensi, come dice l’amico filosofo Paul Ricoeur, al centro della storia. Perciò la Chiesa non cessa d’incarnarsi nella storia, non per dissolversi come una statua di sale nel mare, ma per apportarvi il lievito del Vangelo, capace di fermentare tutta la pasta. Evangelizzare la cultura, all’alba del III millennio, è dunque ad un tempo un’eredità millenaria da salvaguardare ed una missione da assolvere, innestando il Vangelo nelle aspirazioni profonde dell’uomo.
Anche oggi, dopo duemila anni di fatiche sulla barca della storia, la Chiesa, noi tutti, siamo invitati dal Signore a “prendere il largo”, lontano dalla riva e dalle sicurezze umane, e a gettare nuovamente la rete. È di nuovo il tempo di rispondere insieme con Pietro: «Signore, sulla tua parola getterò le reti»[11]. Docili all’azione dello Spirito Santo, mossi dal desiderio di comporre in armonia la nostra azione culturale ed evangelizzatrice, siamo chiamati a promuovere e a partecipare una dialettica feconda tra Vangelo e culture, tra fede e ragione, tra utopia e realtà, tra azione e contemplazione, tra attività intellettuale e azione pastorale, convinti che «una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta»[12]. Per intercessione di Maria, che oggi veneriamo sotto il titolo di Vergine del Rosario, il Padre benedica il lavoro di questi giorni, il Figlio Suo lo renda fecondo, lo Spirito Santo lo illumini e lo rinsaldi.
1. Dal Messaggio di Giovanni Paolo II ai membri della Congregazione Generale dell’Istituto della Carità, Castelgandolfo, 26 settembre 1998
2. Cfr. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale “Ecclesia in Africa”, 14/09/1995, n. 103
3. Per una pastorale della cultura, n. 32. Per un quadro più completo della diffusione dei Centri Culturali Cattolici nel mondo si può vedere: Pontificium Consilium de Cultura, Centri Culturali Cattolici, Città del Vaticano, 2001
4. Cfr. Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 1976, n. 18
5. Per una pastorale della cultura, n. 1
6. Cfr. Ef 3,18
7. Per una pastorale della cultura, n. 4
8. Cfr. Per una pastorale della cultura, n. 3
9. Cfr. Per una pastorale della cultura, n. 4
10. Cfr. P. Poupard, Il vangelo nel cuore delle culture. Nuove frontiere dell’inculturazione, Città Nuova 1988
11. Lc 5,4
12. Giovanni Paolo II, Lettera autografa di fondazione del Pontificio Consiglio della Cultura, 20 maggio 1982
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