Prima ancora di accettare le scuole, Rosmini faceva presente al Conte che il locale da lui fatto costruire sui disegni del cognato della Somaglia, era insufficiente al previsto sviluppo dell’opera. Mellerio si mostrò subito disposto a un ampliamento, e già nel 1838 vennero avviate pratiche coi viciniori del Collegio per indurii a vendere i loro possessi. Sarà una storia lunga, dovuta, naturalmente, alle sempre nuove difficoltà mosse dai proprietari - e da altri ancora - difficili a cedere il loro, sperando di cavarne maggior guadagno. In questa pratica, se è ammirevole la pazienza di Rosmini, non è meno degno lo zelo e il sacrificio del Mellerio.
Attorno al palazzo - Collegio Vecchio - e alla attuale piazza Rovereto lo spazio compreso fra la via Mellerio e la via Rovereto era occupato dalle casette e dai terreni di proprietari diversi: Belli, De Giuli, Guglielminetti, Burla, compresa una strada obliqua che da via San Rocco metteva in piazza S. Francesco. Tutte queste proprietà soffocavano e rendevano angusta la vita del Collegio, per cui nell’aprile 1838 Mellerio affidò a suo cugino, avv. Chiossi mandato di acquistare, ma a prezzi equi queste proprietà.
Le trattative subirono molti alti e bassi e andavano per le lunghe; i due amici si incoraggiavano vicendevolmente all’impresa; Mellerio sognando di vedere un vero Liceo Cattolico «secondo il bel tipo che voi me lo avete formato …», e Rosmini scendendo a un immediato concreto. Si pensò intanto ai lavori di adattamento: rassettare cioè le casette circostanti il Collegio (settembre 1839) per adoperarle già nel prossimo anno scolastico. Incaricatosene il rettore don Molinari, a novembre i ripristini erano attuati, compresa una generale copertura di tetti.
Ma tutto ciò non poteva essere che provvisorio, e a Rosmini veniva lasciata carta bianca per lo studio di un vero ingrandimento. A fine ottobre veniva a Domo con l’Architetto Molli da Borgomanero per vedere il da farsi: «… si studiò molto la cosa, attese le angustie del suolo, fin a tanto che non si abbia il fondo Guglielminetti; e si trovò tuttavia la maniera di fare un bel Collegetto restringendo il numero dei convittori a quaranta, e dodici scolastici dell’Istituto. A far questo è indispensabile che il Guglielminetti ceda un piccolo spazio di terreno con una casupola. Or appena che io avrò i disegni dell’Architetto (il che però non sarà così presto) ve li manderò, o fors’anche ve li porterò io stesso».
L’Architetto si ammala; il disegno non viene neppure a dicembre …, neppure in aprile …: eccolo nell’agosto 1840, portato alla villa del Mellerio, dal Rettore don Roberto Setti. Solo da poco si era schiarito il cielo da una nuvola che aveva minacciato di guastare tutto. Era il fondo Guglielminetti, contro il quale si levava il Signor Arciprete Vecchietti, per non so quali diritti parrocchiali. C’entrò il Senato di Torino, ci entrò perfino il Papa. I Guglielminetti non potevano alienare il fondo; furono quindi obbligati a cedere al parroco i 4.000 franchi ricavati dalla vendita! / Il disegno del Molli fu fatto esaminare da architetti milanesi. Non era però l’arte e la perizia che sarebbe stata criticata; era il preventivo che oltrepassava le lire duecento mila. Il Conte rimaneva male. Dove troverebbe i mezzi per eseguirlo? Già l’autunno precedente, le alluvioni del Po, avevano allagate e guaste tutte le sue terre nel mantovano; ciò significava: niente raccolta nel 1840! Tuttavia il Molli fu pregato di una aggiunta al progetto, volendo Mellerio avere davanti ogni cosa per pesare bene la spesa totale, esatta e reale; e non trovarsi poi davanti a imprevisti e dover, magari, retrocedere senza rimedi. Rosmini è del parere, ma lo stimola a decidere presto; è tanto breve la vita!
Ma l’Architetto, sempre lentissimo, non aveva ancora completato i progetti nel mese di dicembre! Passarono altri due mesi ed ecco uno straordinario colpo di scena!
In una lettera (Allegato 2B) del febbraio 1841 il Mellerio comunicava al Rosmini che, soppesato il costo notevole dell’intervento, valutate le non poche difficoltà che poneva la ristrutturazione di edifici vecchi e costruiti per tutt’altro scopo, verificati per di più i molti inconvenienti che sarebbero rimasti, si era deciso «per lo scopo nostro principale di comprare un’area capace sullo stradone della Madonna della Neve, e là erigere il nostro Collegio dai fondamenti fuori della Città, ma il più vicino che sia possibile …» e aveva dato incarico all’architetto Molli di preparare ogni cosa in modo tale da poter iniziare i lavori nel mese di agosto per poi portarli avanti nella primavera del 1842. Rosmini rispose (Allegato 2C) al Mellerio esprimendogli la sua approvazione e la gioia per una tale scelta, ma anche le sue osservazioni su come agire con prudenza e discrezione.
In marzo, Mellerio ordinava l’acquisto del terreno per la nuova costruzione; terreno che veniva a trovarsi dove oggi sorgono le scuole elementari; i rapporti e gli incontri tra Mellerio e Molli, Rosmini e Molli si infittiscono, ma si arrivò ad agosto senza aver concluso nulla. Frattanto con il procedere del progetto i calcoli delle spese mostrano che queste eccedono il previsto, si torna a rivedere il progetto con l’aiuto di un architetto milanese del Mellerio, si decide l’acquisto di un altro pezzo di terreno per completare la superficie necessaria e si sollecita al Comune di Domodossola la concessione della licenza edilizia. Quest’ultima giunge solo alla fine settembre: ormai è troppo tardi per iniziare i lavori e d’ambedue le parti si spera «di mettere la prima pietra sul principiare del prossimo marzo (1842) epoca nella quale ho tutta la speranza di essere in libertà per assistere personalmente …». Così il Mellerio al Rosmini.
Ma nell’inverno subentrano altri problemi, forse le stesse polemiche intorno alle dottrine rosminiane, e il Conte è indotto a sospendere tutto! Tra i due intercorrono alcune lettere (Allegati 2D.1-3), ma del nuovo collegio non se ne fa più nulla!