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Antonio Rosmini, Lezioni Spirituali
Un ulteriore sviluppo, significativo e di rilievo delle Massime
di Perfezione, Rosmini lo attuò nel 1837: pubblicando per i suoi religiosi
le Regole comuni dell’Istituto della Carità vi inserì una serie di “Lezioni
Spirituali”; le prime sette non sono altro che le Massime, alle quali tolse
le aggiunte e appendici dell’edizione romana del 1830, e vi aggiunse aggiunge
altre tre lezioni, che egli stesso presentò quali «pratiche devote che aiutano
mirabilmente a mettere in pratica le Massime di perfezione». Qui ne offriamo il testo in lingua italiana aggiornata a cura di don Gianni Picenardi, in lingua
inglese a cura di don Antonio Belsito. La lezione VIII, intitolata: «Un meditare ordinato alla
purificazione dell’anima», ripropone il classico metodo della meditazione
cristiana che affonda le sue radici nella “Lectio divina” insegnata dai Padri
della Chiesa e negli “Esercizi spirituali” di Sant’Ignazio di Loyola. In
appendice viene proposto il testo “Metodo di Meditare” che è la versione della
precedente preparata ed inserita da Rosmini nelle Regole comuni degli
Ascritti all’Istituto della Carità, pubblicate a Novara nel 1842. È una
versione più agile e semplificata, ma che presenta un’interessante “Tavola del
metodo” ed un esempio pratico. La lezione IX, intitolata: «L’esame di coscienza». La lezione X, intitolata: «L’ordine delle cose da
chiedere a Dio secondo lo spirito dell’Istituto della Carità». Hans Urs Von Balthasar,
aggiungendola in appendice alla traduzione tedesca delle Massime così la
presenta: «La breve e sostanziale istruzione sulla preghiera è, come suggerisce
il titolo prefissato da Rosmini, indirizzata ai membri del suo “Istituto della
Carità”, principalmente sacerdoti. Ma è facile vedere che queste sono linee
guida che aiuteranno tutti i cristiani».
Aggiungiamo qui sotto una lettera di Rosmini in cui spiega
qualche punto della Lezione X [Lettera 1418,
del 5 novembre 1853, in Epistolario
Ascetico, vol. IV, pp. 170-173, oppure in Epistolario Completo, Lettera 7528, vol. 12, pp. 199-201].
Antonio
Rosmini al chierico Luigi Masante al Calvario di Domodossola
Carissimo in Cristo figlio,
eccomi a rispondere brevemente alle vostre domande: 1ª. Quali persone devono essere raccomandate da noi al Signore per prime,
e se queste siano i parenti. Rispondo che non c’è già un obbligo di fissare
sempre un ordine determinato tra le persone che raccomandiamo al Signore e
intorno a questo non ci si deve fare scrupoli. Perciò se qualcuno raccomandasse
per primi i parenti, farebbe bene, purché sempre con la condizione della
maggior gloria di Dio. Se un altro raccomandasse prima i ministri della Chiesa,
da cui dipende la salvezza di tante anime, e poi i parenti, anch’egli farebbe
bene ed i parenti non rimetterebbero, giacché Iddio probabilmente premierebbe
la generosità di questo adoratore che preferisce la gloria e l’incremento del
regno di Dio sopra la terra ai suoi propri parenti; probabilmente lo
premierebbe con l’esaudirlo più copiosamente anche a favore dei propri parenti.
Ma non c’è un obbligo di fare questi confronti, ed è meglio tante volte pregare
alla buona e alla semplice, come detta lo spirito perché quando abbiamo lo
spirito retto, Dio stesso mette in ordine gli oggetti delle nostre preghiere,
anche se non lo mettiamo noi, o se erriamo mettendoli. Desideriamo dunque
sopratutto la maggior gloria di Gesù Cristo e poi non cerchiamo il resto troppo
per sottile, né facciamo questioni che potrebbero turbare la carità, o
ingenerare dei cavilli. 2ª. Se la condizione posta
al n. 20 della lezione X possa ingenerare perplessità. No, se la si comprende bene: perché in quel numero si
dice che Dio vuole tutti santi, perciò si deve pregare per tutti. La condizione
che vi si pone è solamente per togliere le inquietudini alle anime; perché se
queste credessero che alla preghiera fatta per altri fosse promessa da Cristo il
sicuro ottenimento, e poi vedessero di non esser esaudite, per esempio morendo impenitente
uno per il quale si prega, esse potrebbero turbarsi, o vacillare nella fede, o
mancare di rassegnazione. È dunque necessario che si sappia, da chi prega per
la salvezza altrui, che deve sempre pregare con l’accettazione del volere divino,
che per un maggior bene, talora non esaudisce. Deve perciò conformarsi a quel
volere, che è la regola d’ogni nostro affetto. Questo non toglie però, che si
debba pregare con egual fervore, anzi proprio per questo dobbiamo pregare con
un fervore maggiore, perché a tale fervore molte volte il Signore cede ed
esaudisce, e finché l’uomo vive, può sempre esser convertito; ma se ci fosse
rivelato da Dio che una persona, per la quale noi abbiamo pregato, fosse morta
in peccato e si fosse perduta, noi non dovremmo né turbarci, né scandalizzarci,
ma adorare gl’imperscrutabili giudizi di Dio, e lodare Iddio egualmente. Questo
vuoi dire il citato numero. Onde se uno pregasse cosi: «Signore, fate che quest’anima
assolutamente sì salvi anche se la vostra maggior gloria esigesse il
contrario», non pregherebbe bene, perché l’uomo non deve dettar legge a Dio, e
non deve preferire nulla alla sua maggior gloria.
3ª. Come si deducono le
tre norme indicate al n. 15 dal principio generale della giustizia. È ben naturale che la giustizia cristiana prima di
tutto voglia che si facciano i doveri annessi al proprio stato; si sa già che
questo è la volontà di Dio: e questa è la prima norma. Poi è naturale che se si
conosce in qualche altro modo il divino volere, anche questo conviene adempierlo:
è questa è la seconda norma. Infine anche senza di ciò, quanto più ci spingiamo
avanti verso il bene insegnatoci da Gesù Cristo, tanto andiamo con più lena
verso la perfezione: e questa è la terza norma. Eccovi, mio carissimo,
soddisfatto: servite Iddio con semplicità e pregatelo nella rettitudine del vostro
cuore, senza troppo sottilizzare, ed egli v’istruirà, vi illuminerà, vi
consolerà; di ciò lo prega sempre il vostro aff.mo in Cristo Padre Rosmini prete».
[2]. Al n. 20 della lezione X si dice: «Ciascuno
sa che Dio vuole che si salvi, vuole che ami Iddio, vuole che sia perfetto come
il Padre celeste è perfetto, e sa, che nella propria volontà cooperante alla
grazia divina, è messo il salvarsi effettivamente. Ma se egli può salvar se
stesso colla sua volontà, non può in egual modo salvare il suo fratello, quando
la volontà di questo non acconsenta. Perciò l’uomo può esser certo di venire
esaudito quanto alla salvezza propria, cooperando alla grazia; ma non sa se
verrà esaudito quanto alla salvezza di quei suoi confratelli, per i quali
prega. Dunque deve pregare per questi condizionalmente, cioè sottomettendo ogni
cosa a colui, che non essendo debitore di nulla a nessuno, predestinò ab eterno alcuni gratuitamente alla gloria,
ed altri, conoscendo prima le loro colpe, a dannazione».
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